È emergenza, ormai. Sembrava così lontano eppure ci siamo ritrovati catapultati in una realtà a noi completamente sconosciuta e che sembrava oltremodo distante dalla nostra esistenza.
Il Coronavirus (COVID19) è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. La via primaria sono le goccioline del respiro delle persone infette ad esempio tramite:
la saliva, tossendo e starnutendo, contatti diretti personali, le mani, ad esempio toccando con le mani contaminate (non ancora lavate) bocca, naso o occhi.
Tra i soggetti più a rischio vi sono, senza ombra di dubbio, gli informatori medici, gli informatori scientifici del farmaco che, ogni giorno, si recano negli ospedali, negli ambulatori, nelle cliniche, in farmacia e rischiano di essere contagiati.
Sebbene si tratti di un virus, che comporterebbe raffreddore tosse, al pari di una influenza, la paura di essere contagiati e soprattutto di avere conseguenze drammatiche è tanta.
Ci si chiede, dunque, gli ISF sono tutelati in merito al loro accesso nei presidi medici?
La maggior parte delle Aziende Farmaceutiche ha comunicato ai propri collaboratori di non effettuare attività lavorativa per un periodo che va dai 7 ai 14 giorni, termine ragionevole !!
Ma invece quelle aziende che non hanno previsto nulla e mandano in campo i lavoratori impauriti?
C’è forse il rischio che questi possano essere disdettati/licenziati in quanto assenti al lavoro?
Qui non si tratta di buon senso, qui occorre applicare le norme dettate in tema di sicurezza del lavoratore.
Per quanto riguarda le indicazioni operative per gli addetti ai servizi ed esercizi a contatto con il pubblico (esclusi gli operatori sanitari), il Ministero ricorda che il TUSL (D.lgs. n. 81/2008) attribuisce al datore di lavoro la responsabilità di tutelare i lavoratori dal rischio biologico
Fatta eccezione per alcune specifiche attività lavorative (per esempio tutti coloro i quali lavorino nel settore della sanità o, comunque, in altri settori adibiti al controllo e contenimento della diffusione del virus), il rischio di contagio da COVID-19 non rappresenta per tutti gli altri un rischio professionale.
E solo nei confronti dei rischi professionali (come ricordano anche la definizione di “prevenzione” e di “servizio di prevenzione e protezione”) la normativa impone al datore di lavoro la valutazione dei rischi.
Si ritiene che non vi sia per il datore di lavoro – nella maggioranza dei casi – alcun obbligo specifico di aggiornamento della valutazione del rischio, ferma restando la necessità di garantire ai sensi dell’art. 2087 c.c. l’integrità psicofisica dei propri prestatori di lavoro. Per fare questo deve attenersi alle indicazioni che dovessero arrivare dagli enti pubblici preposti e informare i lavoratori delle disposizioni da prendere.
In ogni caso è bene che le aziende, visti l’ articolo 2087 del Codice civile e il Dlgs 81/2008 che prevedono l’obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori in azienda, valutino possibili misure per fronteggiare questo momento e permettere ai lavoratori di svolgere serenamente le loro attività.
L’adozione da parte delle aziende farmaceutiche di un comportamento diverso rispetto a quello prescritto dal ministero potrebbe comportare una grave violazione degli obblighi contrattuali, oltre che del buon senso, e conseguenze sotto il profilo civile /penale non trascurabili.
Non si rischia, ASSOLUTAMENTE, il posto di lavoro !
Avv. Maria Rosaria Pace